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A chi giovano i graffiti
Parafrasando Benigni “il principale problema di Bologna sono i graffiti”. Se ne parla male? Se ne parla bene? Se ne parla troppo, con un perché
- Tu che lavoro fai?
- Lo scrittore. Ho un blog. E tu?
- Io faccio il pilota, ho una Vespa.
Questo dialogo immaginario rappresenta una delle tante situazioni irreali in un mondo della comunicazione e dell’informazione spesso vissuto e proposto in maniera improvvisata. Ma fosse solo per il dirle le cose, per il modo, ma poi c’è la sostanza.
- Tu che lavoro fai?
- L’artista. Faccio il writer e tu?
- Pittore, faccio l’imbianchino
Parafrasando Benigni “il principale problema di Bologna sono i graffiti”. Se ne è parlato tanto, in questi giorni, in maniera polemica. Se ne è parlato tanto e anche a sproposito, ma è questione da previsioni del tempo, ovvero la stessa, solita, tiritera che viene propinata attraverso i media. Freddo polare a -2, caldo tropicale a +30. Blu e mostra, Comune e writer, scontro di civiltà. Ma per favore, c’è di meglio. Ed anche di peggio.
I graffiti ci sono sempre stati, nelle grotte come sui muri e io ricordo da ragazzo quando sotto un portico di Via Castiglione, dove lavoravo, passavo davanti alla scritta “A son scev dal to tai” senza comprenderla, fino all’illuminazione sullo stato della schiavitù. E chi si ricorda sempre in quel periodo di Paco d’Alcatraz? Pochi tratti, rispetto alla dilagante e pare inarrestabile schifezza di oggi. Eh già: perché se posso comprendere quelli che provano almeno a imitare Bansky, faccio più fatica a tollerare gli imbecilli che su ogni muro libero scrivono ghirigori da mentecatti tipo Weck, Swoc, Krack. Non è arte, è offesa al bene comune e nessuno ci può o ci sa far niente contro.
Anche per questo è molto più comodo cavalcare campagne di stampa su Blu anziché sul degrado visivo della maggior parte delle vie di Bologna. Perché lo si fa? In genere ci sono due ragioni alternative: per troppa ignoranza del problema o per soverchie ragioni astute. Che significa: spingiamo questo argomento, che così la gente non si occupa d’altro. Qui mi sembra che sussistano tutte e due le variabili: ignoranza sul come affrontare la questione, comodità nel far sì che la gente si (pre)occupi di arte anziché di degrado.
Ultima cosa a latere: ma Fabio Roversi Monaco oggi ha un suo perché? Credo di sapere quale o per meglio dire come.
Franco Montorro
21 Marzo 2016