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Opinioni

Pubblicato il 1 Novembre, 2015 | da bolognain

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Almanacco dei luoghi comuni

Da “Conosco la storia di questa squadra” a  “La piazza è troppo esigente”

I giornali sportivi, soprattutto d’estate, in tempo di calcio mercato e di preparazione precampionato, potrebbero essere fatti con il copia incolla di quelli dell’anno precedente, con la sola sostituzione dei nomi e delle immagini. I riti e le parole sono sempre le stesse. Luoghi comuni che sono diventati luoghi stati indipendenti, tanto sono grandi e a volte grossolani. Classico esempio, quello del giocatore che arriva a Bologna e subito dice «Conosco la tradizione di questo club glorioso». Se è italiano forse, se è straniero gli ha sparato due date il suo agente, per convincerlo che qualcosa qui si è vinto, purtroppo, ai tempi dei gettoni e della carta carbone».

Oppure, nel basket. L’allenatore avversario: «A Bologna per vincere!». E certo, nella pallacanestro non esiste il pareggio, a perdere non ci sta nessuno, che cosa vuoi andare a fare al palazzo o all’Unipol Arena se non a vincere?

Dice: «A Bologna però la piazza è esigente». Sarà mica perché era stata abituata meglio e ha imparato a distinguere i due diversi significati di tristezza?

E quello che si lamenta della pressione dell’ambiente e dei tifosi? E’ così in tutto il resto d’Italia, anche peggio, in fondo un calciatore o un allenatore si chiamano professionisti perché fanno un lavoro che comprende anche il rischio di essere fermato per strada per un selfie o per un vaffa.

«I calciatori sono influenzati dalle trattative per la cessione del club». Gli agenti sono certo più felici se ad un Guaraldi subentra un saputo, ai giocatori interessa solo avere lo stipendio nei tempi concordati, lo dia chi lo dia.

«I giornalisti criticano perché invidiosi di chi guadagna più di loro». Per quelli come me che hanno superato gli “anta” verrebbe da rispondere: vediamo poi come vivranno questi quando avranno raggiunto la mia età, se non avranno saputo far altro oltre a tirare calci ad un pallone. Ma preferisco riportare quanto raccontato da Gabriele Romagnoli, giornalista e scrittore bravo, bolognese, tifoso appassionato di Bologna e Fortitudo. Narra di un celebre scrittore che passeggia con un amico nel giardino di un multimiliardario, durante una festa. L’amico gli chiede:

  • Joe, che effetto ti fa sapere che nella sola giornata di ieri probabilmente il padrone di casa ha fatto più soldi di quanti il tuo famoso romanzo ne ha incassati in quarant’anni?
  • Io ho qualcosa che lui non potrà mai avere.
  • E che cosa sarebbe?
  • La consapevolezza di avere abbastanza.

Ne avete abbastanza di luoghi comuni? Ce ne sarebbero moltissimi altri, ma eccone in conclusione un altro paio. Il mister «Abbiamo giocato tre partite in sette giorni, quindi ci siamo allenati di meno». In realtà, soprattutto nel basket, i giocatori preferiscono molto di più le fatiche della gara a quelli degli allenamenti, come un musicista preferisce il concerto alla sala prove o di incisione e poi, la tattica dovrebbe essere preponderante in prestagione, la pratica e le correzioni, oltre alla cura della condizione fisica, nel resto dell’anno.

«Il fattore casalingo conta moltissimo». Oppure: «Vogliamo che il pubblico sia il nostro sesto uomo in campo». Vero, sono fattori motivanti, ma da soli non bastano perché la storia dello sport è piena di campioni – vedi Dino Meneghin – che addirittura si esaltavano a giocare in trasferta. E’ invece vero che giocare in casa dà un’altro tipo di tranquillità: quella della conoscenza del terreno di gioco. Concludo ancora con la pallacanestro: per un cestista, meglio se un tiratore, è fondamentale giocare sul campo più conosciuto, dove magari ha fatto anche tutti gli allenamenti e quindi ne conosce la durezza del parquet e dell’anello e ha precisi riferimenti mentali dette ancore: quel tabellone pubblicitario, quella luce, quello spettatore sempre allo stesso posto. Il fattore campo è questo: conoscerlo meglio dell’avversario.

Franco Montorro

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1 Novembre 2015

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