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Auguri a Larry Bird, ricordando Piero
Uno dei più grandi cestisti di sempre compie 60 anni. Che cosa c’entra con Bologna, dove forse non è mai stato? Perché voglio ricordare un amico
Premessa, forse sono di parte, ma sono di quella buona parte di appassionati di basket che riconoscono a Larry Bird, che oggi compie 60 anni, la fama di uno dei più grandi cestisti di tutti i tempi. Attuali compresi. Ammetto che ho sempre tifato Boston Celtics, almeno fin quando c’era lui e la NBA mi piaceva e poi di aver simpatizzato per i San Antonio Spurs, ma Larry Joe Bird nato a West Baden Springs nell’Indiana, per me è stato uno dei tre migliori giocatori di tutti i tempi. Posso accettare opinioni contrarie e arrivare al Top Five, ma non scendere oltre. E adesso immagino parta la domanda: ma che c’entra Bologna, dove forse, non ricordo, Larry Bird non è mai stato? Perché mi dà modo di ricordare un amico che non c’è più e il cui elogio, condiviso da molti, non è per amicizia ma per riconoscimento delle sue capacità spesso sottovalutate nel mondo della pallacanestro bolognese. Si chiamava Piero Parisini, morto a 73 anni nel 2013, fondatore della Fortitudo Basket per come la conosciamo oggi, uomo della prima ora della Lega Basket e mente lucida e critica fra le migliori di questo sport. Non solo per Basket City. Soprannominato “Il Papa” per il suo atteggiamento sempre un po’ da sopracciglio alzato e per le mani sovrapposte sulle gambe mentre ascoltava il suo interlocutore, del resto era un fiero alfiere, gioco di parole, di quella DC che rappresentava comunque qualcosa nello spirito della S.G. Fortitudo, di matrice cattolica rispetto alla laica Virtus. Non siamo ancora al nocciolo della questione. Molti anni fa, fra dieci e i quindici Piero Parisini scrisse la prefazione di un libro su Larry Bird e in quelle righe c’era una considerazione a mio modo di vedere mirabile e che non valeva solo per il basket. Era l’epoca del massimo appeal di Michael Jordan e i ragazzi comparavano la maglietta numero 23 dei Chicago Bulls, le scarpe Air Jordan della Nike, collezionavano poster suoi, impazzivano per il film Space Jim. A ragione, nonostante quello che diceva di se stesso Muhammad Ali, Michael Jordan è stato il più grande sportivo di tutti i tempi e non parliamo solo di imprese sul campo ma anche di impatto mediatico globale. Ma, ammoniva Parisini, Jordan era unico e inimitabile, il suo mito affascinante ma sterile perché impossibile da replicare. Perché era un fenomeno quasi extraterrestre, come Erving e Magic prima e contemporaneamente, come Bryant dopo. Sospendo i giudizi su quelli dell’era moderna e immagino si capisca che il silenzio è una dichiarazione di pensiero lampante: niente a che fare con… Bird invece era un bianco normale o forse no, perché pur essendo alto era a suo modo tozzo e all’apparenza sgraziato, sul finire della carriera anche sovrappeso, non saltava – come si dice – un foglio di giornale, però… Però, diceva Piero Parisini ha sì dalla sua un’intelligenza che gli permette di anticipare le scelte e quindi di precedere giocatori molto più scattanti e reattivi di lui. Ma non sarebbe bastato e Piero aggiungeva: «I ragazzi e ancora prima i loro allenatori dovrebbero prendere a modello Bird, non Jordan, non un fuoriclasse assoluto di natura ma uno che la sua grande, leggendaria carriera se la è creata con l’allenamento, con il sacrificio, con la ripetizione di movimenti e tiri. Larry Bird era quello che il giorno di Natale si faceva aprire il Boston Garden – il palasport dei Celtics – e da solo, nel deserto e nel silenzio, tirava a ripetizione con il solo custode che stava a guardarlo, ché tanto era pagato per essere lì anche quel giorno». Bella lezione “bolognese” di Piero Parisini: applicazione, ripetizione, sacrificio, voglia di migliorare e di migliorarsi per superare gli oggettivi limiti di partenza e diventare così il “più grande degli umani” di sempre.
Franco Montorro
7 dicembre 2016