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Don Piero e il calcio in c… al futuro sindaco
Santa Maria Assunta ricorda il suo storico parroco morto tre anni fa, anche con battute, storie e aneddoti sul… “Don Camillo di Borgo Panigale”
Nei giorni scorsi la chiesa di Santa Maria Assunta – per capirci meglio quella con alle sue spalle il cimitero di Borgo Panigale – ha ricordato il suo storico parroco Don Piero Fuzzi, morto nel dicembre 2013 fa dopo aver gestito la parrocchia per 34 anni. Gli è stato intitolato, fra l’altro, l’altare ma fra tutte le iniziative in memoria del sacerdote, quella che ho apprezzato di più riguarda quattro pagine fitte fitte di storie e aneddoti su un personaggio straordinario, al di là del credo di ognuno. Don Piero – io lo conoscevo bene – era un prete da fatti senza paroloni, pacioso, affabile, colto e intelligente. Montanaro sceso a città nel quartiere più operaio di Bologna, prima, e poi forse più multietnico. Il Don Piero che tanti hanno conosciuto non era solo quello delle messe e delle prediche – memorabile quella in cui si lascio scappare la parola “puttane” per denunciare l’ipocrisia di certi – era soprattutto quella da “esterno”, quello che andava a trovare i bambini della scuola parrocchiale, quello che andava nei bar a giocare a carte, che litigava con i proprietari della Borgo Panigale industriale quando c’era da difendere i diritti dei lavoratori, quello che aveva nella sua parrocchia la “Casa della carità”, struttura che ospitava disabili ed ex prostitute strappate l caporalato del sesso.
Don Piero aveva la grinta e le fattezze di un Don Camillo, senza un Peppone unico avversario, ma dal famoso minidossier appena citato emerge un episodio divertente. A cavallo degli anni 90 l’allor sindaco di Bologna Walter Vitali dopo una cerimonia pubblica al Borgo lo avvicino per ricordargli un episodio di molti anni prima, fra un cappellano e un ragazzino dell’oratorio che aveva ricevuto, indisciplinato, un bel calcio nel sedere. Don Piero rispose: «Sei diventato sindaco anche per quello, pensa cosa saresti diventato se te lo avessi tirato più forte».
Ma del piccolo elaborato su Don Piero il meglio è in ultima pagina, dove vengono riportate le sue frasi storiche in dialetto, che riportiamo qui di seguito sapendo di non rispettare del tutto la fonetica, quindi la grafia e la pronuncia del vernacolo bolognese
Salutando la compagnia per andare a dormire:
«A vag a métter al prit a lèt» (Vado a mettere il prete a letto), ma ricordiamo che prete veniva definito anche uno scaldaletto ai tempi in cui nelle case non esisteva riscaldamento come oggi conosciuto.
Quando qualcuno gli diceva che lo vedeva in forma perché aveva una buona cera rispondeva con «La zira l’è bona, ma l’è al stupén ch’al se scurta» (La cera è buona, è lo stoppino che si accorcia).
Quando qualcuno gli diceva che lo vedeva in forma perché aveva una buona cera rispondeva con «La zira l’è bona, ma l’è al stupén ch’al se scurta» (La cera è buona, è lo stoppino che si accorcia)».
Riguardo certi lavori necessari alla ristrutturazione della parrocchia: «Se un prìt an fa brisa di débit an va in paradìs, ma se al ni pega, al va all’inféren»( Se un prete non fa dei debiti non va in paradiso, ma se non li paga va all’inferno).
Ai ritardatari alla messa che dicevano che era buona lo stesso se arrivavano prima del “Credo”: «Sé, lé bona da frézzér» (Sì, è buona da friggere).
Ad un gruppo di fedeli che aveva cantato con stonature accentuate, questa volta in italiano: «Non è una Scola Cantorum, è una Scola Canorum».
Agli scaricabarile di “professione”: «Adès a canbiarén anch la massa digand: per tua culpa, tua culpa, tua maxima culpa» (Adesso cambieremo anche la messa in: per tua culpa, tua culpa, tua maxima culpa).
Assaggiando del vino insoddisfacente le opzioni erano tre: «1) Quasst al va bain par curer agl’ong incarné; 2) Pr’i cavì con la sgaramoffia; 3) L’ha du gred manch dl’acqua» (Questo va bene per curare le unghie incarnite; Per i capelli con la forfora; Ha due gradi meno dell’acqua).
Quando diceva che era ora di andare a mangiare: «A i ho in bazurlon in dal stàmmgh» (Ho i bazurloni nello stomaco). Per bazurlone si intende una figura sciocca, che non fa niente di buono.
All’ora di chiusura serale della chiesa: «1A vag a srèr l’ufizéina» (Vado a chiudere l’0fficina).
Accendendo l’ennesima sigaretta «A fag un poch d’aerosol». Non ci dovrebbe essere bisogno di traduzione. Un grazie a Vittorio Mazzoni che ha raccolto queste frasi.
Franco Montorro
27 dicembre 2016