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Fenomenologia di Francesco Guccini
Un’artista eclettico, musicista evoluto in scrittore, attore. Filosofo, di una (co)scienza fatta di piccole cose di ottimo gusto
Francesco Guccini, Gianni Morandi, Edoardo Bennato. Difficile trovare artisti musicali così diversi eppure accomunati dall’essere tre persone professionalmente poliedriche. Sembrano anche appartenere a mondi temporali diversissimi, eppure sono nati in successione dal 1940 al 1949. Stesso decennio. Di distruzione e di ricostruzione. Andiamo a ritroso nell’elenco. Bennato: cantante, autore, disegnatore, architetto, progettista. Morandi: cantante, autore, attore, presentatore. Guccini: cantante, autore, insegnante, attore, scrittore. Bennato, napoletano di Bagnoli, spesso a Bologna. Morandi, bolognese di montagna, con Bologna luogo dove ha messo le radici e le ali. Guccini, nato a Modena, padre di un paese quasi attaccato a Porretta ma già Toscana, attratto da Bologna e residente a Bologna nella sua migliore fase artistica musicale.
Quella dei concerti unplugged prima che diventassero di moda e dei testi che vengono spesso definiti e compresi come poesie e che come tali vengono studiati. Quella dell’impegno nell’affrontare storie di gente comune mai compresa o dimenticata, con una particolare attenzione al passato degli anni costituenti l’identità italiana e alle sue origini umili. Gli anni 70 lo eleggono maestro, ruolo che lui ha sempre schivato come temendo di venir considerato un barone. E questo suo atteggiamento, oltre all’indiscutibile fascino delle sue canzoni e della sua teatralità live gli hanno comunque procurato una stima profonda in tanti altri colleghi a volte diversissimi da lui. Colleghi e non solo, visto che l’album “Parnassius “Guccinii” prende nome dall’omonima farfalla catalogata nei primi anni ’90 e chiamata così in suo onore. Una farfalla per un omone di quasi 2 metri. Ma in fondo, che cos’è stata la poesia di Guccini se non un qualcosa di alato e comunque non imprigionabile in schemi o ideologie?
Era partito con l’essere o l’apparire un po’ un guru da ’68, un Mario Capanna degli spartiti. Poi la protesta si è anche evoluta nel canto delle piccole cose di ottimo gusto, le stesse che ritroveremo anni dopo nei suoi scritti fra nostalgia e tepore del ricordo, con quella Erre arrotata che lo caratterizzava e lo distingueva e con quella barbona che volente o nolente la patente di vecchio saggio gliela dava comunque. La sua diversificazione in scrittore ha dato come frutti libri diversissimi fra loro: dalla serie gialla sul Maresciallo Santovito scritta con Loriano Macchiavelli ai libri su Pavana a quelli sulle cose perdute all’ultimo geniale fin dal titolo: “Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto”
E’ bello oggi sapere che le sue canzoni sono conosciute anche dagli adolescenti non come un reperto di studio, ma come testimonianze attuali di un modo di vivere e di essere fatto di amicizia, valori, attenzioni, di forza interiore che non diventa rabbia esteriore, di un modo di dire le cose con maniera vibrante ma senza urlare. In fondo, ogni poesia si recita ad alta voce, non si urla. Guccini è uno che piace alla gente che pensa e ripensa. Che non vuol dire piacere a chi si macera nel dubbio, ma che semmai nel dubbio macera le convinzioni superficiali o meno importanti. E nessuno ha mai descritto così bene Bologna come lui, nella canzone omonima.
Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po’ molli
col seno sul piano padano ed il culo sui colli,
Bologna arrogante e papale, Bologna la rossa e fetale,
Bologna la grassa e l’ umana
già un poco Romagna e in odor di Toscana…
Bologna per me provinciale Parigi minore:
mercati all’ aperto, bistrots, della “rive gauche” l’ odore
con Sartre che pontificava, Baudelaire fra l’ assenzio cantava
ed io, modenese volgare, a sudarmi un amore, fosse pure ancillare.
Però che Bohéme confortevole giocata fra casa e osterie
quando a ogni bicchiere rimbalzano le filosofie…
Oh quanto eravamo poetici, ma senza pudore e paura
e i vecchi “imberiaghi” sembravano la letteratura…
Oh quanto eravam tutti artistici,
ma senza pudore o vergogna
cullati fra i portici cosce di mamma Bologna…
Bologna è una donna emiliana di zigomo forte,
Bologna capace d’ amore, capace di morte,
che sa quel che conta e che vale, che sa dov’ è il sugo del sale,
che calcola il giusto la vita e che sa stare in piedi per quanto colpita…
Bologna è una ricca signora che fu contadina:
benessere, ville, gioielli… e salami in vetrina,
che sa che l’ odor di miseria da mandare giù è cosa seria
e vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perché sa la paura.
Lo sprechi il tuo odor di benessere però con lo strano binomio
dei morti per sogni davanti al tuo Santo Petronio
e i tuoi bolognesi, se esistono, ci sono od ormai si son persi
confusi e legati a migliaia di mondi diversi?
Oh quante parole ti cantano,
cullando i cliché della gente,
cantando canzoni che è come cantare di niente…
Bologna è una strana signora, volgare matrona,
Bologna bambina per bene, Bologna “busona”,
Bologna ombelico di tutto,
mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto,
rimorso per quel che m’ hai dato,
che è quasi ricordo, e in odor di passato…
Franco Montorro
(foto di Fabrizio Fenucci)
2 Dicembre 2015