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Fortitudo: Aquile, Leoni, Piccioni, Iene…
La Fortitudo è sempre quella, o quasi: adesso si è al “Non abbiamo più vinto un c…”, ma l’identità è stata ritrovata. L’antivirtussinismo anche
Stefano Mancinelli l’ha fatta fuori dal vaso, pubblicando la foto di una famosa scenografia anti Virtus dopo la vittoria della sua Torino nello scontro salvezza con l’Obiettivo Lavoro? Beh, le sue giustificazioni da eterno goliarda mi convincono e la sua esternazione non è certo offensiva come quella di Fabio Bazzani che, dopo la radiazione della Virtus nel 2003, sotto la maglia della Sampdoria indossò quella con il disegno di un bambino birichino che faceva la pipì sulla tomba delle Vu Nere. Nemmeno quanto quella di Basile che – da Iena – disse che godeva come un riccio, per lo stesso fatto. Altra classe, superiormente satireggiante, quella di Pellacani una trentina di anni fa: da “Odio il brodo” al “Grande Freddo”, ma in materia di ironia e di autoironia Nino sta agli altri citati così come il livello complessivo del basket italiano di allora sta all’attuale.
Manca a tutti il derby di Basket City, anche se oggi sarebbe una gara di retroguardia, ma è curioso notare come non sia poi cambiato l’atteggiamento di fondo delle due tifoserie da quando si è giocata l’ultima stracittadina, numero 103 (ironia della sorte): quella decisa da un canestro di Vukcevic allo scadere che poi di fatto tolse alla Fortitudo i due punti che altrimenti alla fine di quel torneo avrebbero significato la salvezza per i biancoblù.
I Virtussini, espressione di una società che nacque rappresentando la borghesia bolognese, restano snob ma non quanto ai tempi dell’Avvocato Porelli. Dall’altra parte c’era la cattolica e più popolare squadra dei Fortitudini. Differenze assottigliate e rivoltate nel tempo, ad esempio quando il ben più proletario Cazzola della Bolognina si confrontava con l’aristocratico Seragnoli e comunque una certa divisione rimaneva: da una parte i freddi presenzialisti, dall’altra i passionali aficionados. Categorie liquide, perché il tifo pro Kinder a Barcellona rappresentò qualcosa di mai raggiunto sull’altra sponda e perché in quanto a fighetteria il parterre Fortitudo nello stesso periodo era da sfilate di moda a Milano.
Cambiano i tempi e la più simile a se stessa resta la Fortitudo, di battaglia e non di governo in A2, con palasport pieno ed entusiasmo da vecchi tempi; quelli di “Non abbiamo mai vinto un c…” oggi modificabile in “Non abbiamo più vinto un c…”.
Identità ritrovata, così come l’antivirtussinismo esemplarizzato dall’ex Stefano Mancinelli ed è davvero qui la gara della differenza fra i due modi di tifare basket a Bologna. Il Fortitudino è come il tifoso del Bologna Calcio: tifa per la sua squadra e con la stessa intensità, spesso, contro Virtus e Juventus (che hanno gli stessi colori, guarda caso) e in mancanza di risultati migliori da parte dei giocatori si aggrappa all’autoesaltazione del tifo: noi siamo di più, siamo sempre presenti, calorosi, uniti. Rappresentati alla perfezione da quelli della Fossa dei Leoni, che io ho continuato a stimare mentre altri, colleghi miei compresi, non comprendevano la coerenza nei confronti di una squadra piuttosto che l’ovineggiante accodarsi al detentore dei diritti di turno. E ho stimato molto Michele Martinelli al quale, in assenza di colpe maggiori accertate, si imputa di aver ceduto il club a Sacrati. Un po’ poco per crocifiggerlo, ma il Fortitudine spesso è così, è abituato a navigare in acque tempestose e non a caso il motto della Fossa è “Nessuna tempesta distruggerà la nostra Fede”: insomma, avere i maroni quando sei fra i marosi.
I Virtussini si lasciano coinvolgere di meno, oggi magari anche perché molti di quelli che vanno all’Unipol Arena con i biglietti regalati negli ipermercati non sono più neanche i figli di quelli che una volta correvano a fare l’abbonamento a metà luglio e con quella “fresca” l’Avvocato Porelli ci costruiva squadre di altissimo livello. E perché diversamente “dagli altri”, in materia di rivalità fra tifoserie, i “Conigli” hanno conservato un distacco di superiorità nei confronti dei “Piccioni”. Roba da Marchese del Grillo (“Io so’ e voi nun siete un…”), ma spiegato meglio anche grazie ad una storiella che mi pare sia stata raccontata dalla matita satirica di Giuliano sul Guerin Sportivo, una trentina di anni fa. Tennis: il bolognese Paolo Canè a Wimbledon arrivo a soli due punti dalla clamorosa vittoria contro il numero 1 dell’epoca, Lendl. Battuta di Giuliano: “Canè ricorderà sempre di essere arrivato ad un soffio dal battere Lendl. Lendl non si ricorderà più di essere stato ad un passo dal farsi battere da Canè”. Chi era (e?) Ivan e chi Paolo?
Franco Montorro
30 Dicembre 2015