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Inchiesta giornalismo e tifo
Francesco Costanzini, già Direttore del nostro partner “Mille cuori rossoblu” ha pubblicato su internet un questionario su un tema delicato
Non a caso si chiama tifo e purtroppo si è diffuso anche all’interno di programmi in radio in radio e alla televisione, nello sport ma non solo. Il questionario che il collega Francesco Costanzini ha pubblicato all’indirizzo che troverete fra qualche riga, analizza uno spaccato di attualità molto delicato. Francesco ha gestito fino a poco tempo fa con equilibrio il sito partner di bolognain.info chiamato “Mille cuori rossoblu”, chiaramente un punto di incontro fra sostenitori del Bologna e ci tengo a sottolineare la differenza con la parola tifosi. Io stesso ho partecipato al questionario e le domande e le risposte sono quelle che troverete a conclusione dell’articolo. L’invito è a partecipare anche voi, la promessa è che ritorneremo sull’iniziativa pubblicata su questa piattaforma
https://goo.gl/forms/Wli2CeCmU7eaqxIz2
Ed ecco il mio contributo specifico.
– La storia insegna che le comunità e i territori chiusi implodono e che il progresso è fatto di E’ possibile mantenere una certa obiettività raccontando una passione?
«Deve essere obbligatorio. Io ho da anni (purtroppo) nel cassetto un libro sul giornalismo sportivo intitolato “Il tifo è un cappotto”. Da lasciare appeso in sala stampa e da rimettersi solo quando si è battuto l’ultimo tasto dell’articolo o pronunciata l’ultima frase della radio/telecronaca»
– In ambito sportivo ad esempio sente la mancanza di quei giornalisti che un tempo non sentivano il bisogno (anzi nascondevano appositamente) la propria fede calcistica?
«Sì, perché anche alla luce di quanto detto sopra ormai si dà per scontato che un giornalista – e non vale solo nello sport ma anche se non soprattutto in politica – scriva certe cose in quanto tifoso e magari chi non lo mostra è visto perfino con sospetto, come se celasse chissà quali cose occulte. E’ chiaro che tutti noi giornalisti sportivi abbiamo tifato o facciamo ancora il tifo per qualcuno o qualcosa, altrimenti avremmo fatto un altro mestiere o scelto un’altra specializzazione».
– Un giornalista che scrive su Repubblica o su Libero (ad esempio) secondo Lei deve per forza assecondare la linea “politica” dell’editore? Non intravede in questo un problema deontologico? Quali possono essere i confini?
«Le cosiddette linee editoriali sono condizionanti e anche legate a scelte economiche: il mio pubblico è questo e gli scrivo quello che si aspetta da me, suscitando naturalmente lo sdegno della parte avversa, che poi si comporta allo stesso modo. Sono due dei tre insegnamenti che ho appreso: il lettore (o lo spettatore) lo devi accontentare o far arrabbiare; l’importante però è che tu catturi la sua attenzione. Aggiungo io: con equilibrio e oggettività».
Franco Montorro
16 dicembre 2016