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Là dove c’era una bottega, adesso c’è…
Proteste per la trasformazione dei centri storici, con la sparizione di attività commerciali non “indigene”. Ma accadeva anche per le banche…
L’ultimo è stato il sindaco di Firenze, Nardella, che se l’è presa con la trasformazione delle attività commerciali nel centro storico della sua città, con le antiche botteghe trasformate in negozi di paccottiglia, kebab, hamburger. E in precedenza, a Roma, c’era stata la polemica per l’apertura di una paninoteca – chiamiamola così, ma ci siamo intesi – a pochi passi da Piazza San Pietro e in un’immobile di proprietà del Vaticano. E non dimentichiamo i “Negozi tutti uguali”, quelli delle grandi catene internazionali, che invece hanno preso piede eccome, laddove c’erano cinema o librerie, negozi di dischi o di alimentari
Il centro-centro di Bologna, diciamo quello più turistico è riuscito a preservare la sua identità solo nel primo caso, quello delle piccole attività, ma appena ci si allontana da Piazza Maggiore ecco spuntare i negozi di alimentari aperti sempre, gestiti da gente che, sia detto senza offesa, sembra uscita da un libro di Salgari su Sandokan. perché di evidenti origini non italiane. Mentre italiane sono in prevalenza le persone che ne usufruiscono.
Allora, chiaro che tutti vorremmo un paese che non c’è più e che comunque e per fortuna siamo ancora in una realtà in cui la qualità conta ancora qualcosa, però c’è da fare i conti con la situazione economica, di crisi ormai prolungata, senza stare a chiederci perché un kebabbaro o un ristoratore cinese siano oggi dove prima c’era qualcosa di sicuramente più affascinante, almeno per i nostri ricordi (avrei potuto scrivere anche Ricordi, con la erre maisucola). Perché evidentemente loro hanno la disponibilità finanziaria di pagare affitti e sostenere costi che i precedenti proprietari, con le loro attività, non potevano più permettersi. Il “per come” gli altri ce la facciano non è tema di questo articolo.
Abbiamo detto del centro, ma più ci si sposta verso la periferia ci si imbatte in serrande chiuse da chissà quando e riaperte solo per uno dei negozietti già descritti. Non parliamo poi dei complessi industriali: l’hinterland bolognese è pieno di strutture dismesse e fatiscenti, le classiche “fabbrichette” (da pronunciare con accento brianzolo) che non ce l’hanno fatta più.
Per il centro la soluzione giusta potrebbe essere di compromesso fra locatore e locatario: fra avere un negozio vuoto e guadagnare almeno qualcosa dovrebbe prevalere la seconda ipotesi, anche se come detto in pole position ci sono altri e oggi più che mai mettere in piedi un’attività commerciale è davvero un terno al lotto, come confermano i numeri sulla chiusura di esercizi commerciali a Bologna, negli ultimi tempi. Soprattutto per imprese nate da poco e subito in affanno.
In realtà questa situazione non è nuovissima, anche se si è certamente acuita, perché i negozi storici sparivano anche 15-20 anni fa e ancora prima, ma finché il loro posto veniva preso da sportelli bancari, tutto sembrava andare bene, i soldi davano l’illusione che andasse bene così. Era, infatti, un’illusione.
Franco Montorro
Foto Comune di Bologna
26 novembre 2016