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Le vere cose contro natura
Dalla cementificazione selvaggia del Paese alle trivelle estrattive nell’Adriatico: due facce dello stesso atteggiamento per il bene di pochi
Non è che ho passato molto tempo della mia vita a chiedermi perché visto il suo clima la Sicilia non è mai stata trasformata nella California d’Italia, operazione possibile anche in molte altre zone del Sud. Ho capito subito che è successo perché non lo si è voluto, visto che gli interessi di potere – dello Stato e delle mafie – erano quelli già in essere o in divenire: droga, cemento, trasporti. Non solo al Sud, basti pensare alla cementificazione selvaggia nella Pianura Padana o in Liguria, dove ci si meraviglia in maniera rinnovata ad ogni alluvione. Vale anche per Bologna e dintorni, dove per dintorni si intende anche la Romagna marittima, quella che si raggiunge in poco più di un’ora di macchina, per quell’acqua e per quei suoi prodotti ittici già a rischio per colpa delle trivelle estrattive di petrolio e gas. Problema comune a gran parte dell’Adriatico. La questione sarà oggetto di un referendum abrogativo, il prossimo 17 aprile, visto che il Governo non ha voluto accorpare il referendum alle elezioni amministrative di giugno.
La stampa in gran parte è favorevole al mantenimento delle trivelle più vicine alla costa e lo fa spesso nel più semplice e immediato dei modi, come ben rappresenta questo recente articolo del Corriere di Bologna a firma Massimo Degli Esposti: « (…) Il fronte del No sottolinea i rischi ambientali legati all’attività di perforazione (alcuni, come i rischi sismici, smentiti però dalla scienza) e chiede che si privilegino le fonti energetiche rinnovabili. Gli esperti di problemi energetici ribattono che le due fonti non sono per ora intercambiabili, e al blocco delle estrazioni di idrocarburi in patria seguirà l’inevitabile impennata delle importazioni dall’estero». Da una parte i frontisti del no (ma bisogna dire e sottolineare che è votando Sì che si potrà impedire la continuazione dello sfruttamento dei giacimenti una volta scaduta la concessione, cancellazione della parte del comma 17 dell’articolo 6 del codice d’Ambiente che prevede la prosecuzione delle trivellazioni fino a quando il giacimento lo consente), dall’altra gli esperti. Di là la coscienza, di qua la scienza. “40.000 lavoratori a rischio” è l’apertura dell’articolo e la sua conclusione.
Invece, repubblica.it l’altroieri ha riportato l’opinione di Greenpeace e l’articolo si può leggere a questo link
http://www.repubblica.it/ambiente/2016/03/03/news/greenpeace-134694875/?ref=HRLV-18
Sintesi di uno studio completo e indicativo sugli alti rischi per la salute che trovate invece all’indirizzo
http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2016/Trivelle_Fuorilegge.pdf
Documento del quale possiamo citare un solo paio di dati significativi: l’86% del totale di campioni di mitili analizzati nel corso del triennio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio e l’82% per il cadmio secondo gli standard di qualità ambientale. Senza contare altre presenze altrettanto poco simpatiche come l’arsenico.
Conclusione: prevale l’interesse dei petrolieri o quello degli operatori turistici, in materia di occupazione? Già, perché queste cose soprattutto all’estero non sono imbavagliate come da noi e se poi verrà sempre meno gente a fare il bagno in acque inquinate e a mangiare mitili cancerogeni, altro che “solo” 40.000 posti di lavoro a rischio. Createli per l’arte, turismo, lo spettacolo non 40 ma 400mila posti di lavoro e vedrete che vale molto più, in termini di ritorno economico, una goccia di cultura che un barile di petrolio. Come ricordava qualche anno fa uno studio della European House che, incrociando una serie molto ampia di dati, e sfruttando un nuovo indice chiamato Florens index, ha dimostrato in maniera scientifica che «la cultura dà da mangiare (o che la gente mangia cultura, o che con la cultura si mangia). Facciamo parlare i dati della ricerca. Per ogni di euro investito nel settore culturale, l’impatto (diretto, indiretto e indotto) sul sistema economico è di 2,49 euro. Scomponendo nel dettaglio il dato, di questi 2,49 euro 1,15 sono trattenuti all’interno del settore culturale, 0,62 vengono generati nell’industria manifatturiera, 0,16 nei trasporti, 0,12 nel commercio, 0,09 nell’industria non manifatturiera, 0,04 nelle costruzioni, 0,02 nel settore ricettivo (alberghi e ristoranti), 0,01 nell’agricoltura. E non è finita. Lo studio calcola gli effetti dell’investimento culturale anche sull’occupazione. Risultato: per ogni incremento di una unità di lavoro nel settore culturale, l’incremento totale sulle unità di lavoro del sistema economico è di 1,65. Di cui 1,10 trattenute all’interno del settore culturale, 0,13 generati nell’industria manifatturiera, 0,07 nei trasporti e nel commercio, 0,04 nell’agricoltura, 0,03 nelle costruzioni e 0,02 nell’industria non manifatturiera e nel settore degli alberghi e della ristorazione».
Franco Montorro
5 Marzo 2016