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Luca Goldoni: auguri!
Luca Goldoni compie oggi 88 anni, ben portati e meglio vissuti soprattutto nell’esercizio della sua grande passione: il giornalismo
Auguri ad una delle penne più brillanti e argute del giornalismo italiano, che oggi compie 88 anni: Luca Goldoni. Per “festeggiarli” ha scelto di tenere una sorta di Lectio Magistralis per quell’ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna che lo ha avuto a lungo come presidente e così questo prolifico, brillante, coinvolgente cronista e scrittore ha avuto modo di svolgere alla perfezione il tema del convegno: “Giornalismo e giornalismi”. Ecco alcuni stralci del suo applauditissimo intervento.
«Alla Stampa il mitico direttore Giulio De Benedetti ammoniva: “Dimenticatevi il pronome io”. Non ero d’accordo. Dopo la Guerra dei Sei giorni in Medio Oriente, fra Israele da una parte e dall’altra Egitto, Siria e Giordania, mi sono accorto che in realtà la parola io andava usata, scritta con l’iniziale minuscola, per l’io di tutti i lettori che ti leggono».
«Quando tornai in Italia dopo quella guerra lampo la gente mi chiedeva di quello che avevo visto di “minore”, delle cose grandi sapevano già. E allora io raccontavo dei carrarmati israeliani che deviavano per passare lontani dalle vigne, perché erano contadini che una volta finita la guerra sarebbero tornati a lavorare una terra che quindi rispettavano».
«Allora mancai uno scoop per quella leggerezza del vivere che ogni tanto bisogna avere. Tutti volevano intervistare Moshe Dayan, il famoso comandante in capo con una benda sull’occhio ferito in un’operazione bellica, ma nessuno ci riusciva. Una sera io e Lino Rizzi, di Parma anche lui, scovammo un ristorante veneziano, gestito da un italiano che si era trasferito in Israele. Eravamo soli quando entrò un manipolo di guardie del corpo per proteggere la cena di un ometto pelato e con un occhio bendato. Era lui? Che si fa? – ci domandammo. Lasciammo passare un po’ di tempo e poi decidemmo che valeva la pena tentare, al massimo ci avrebbero detto di no. Mentre ci avvicinavamo al nostro obiettivo Lino, sottovoce mi disse: “Secondo me ce la facciamo, Dayan ci sta guardando di buon occhio”. A quell’involontaria battuta scoppiai a ridere e deviai verso la toilette dove mi raggiunse subito anche il mio amico. Finito di sganasciarci dalle risate tornammo in sala, dove naturalmente non c’era più nessuno».
«Durante la repressione sovietica della Primavera di Praga, nel 1968, i corrispondenti italiani erano tutti alloggiati nello stesso albergo e ci eravamo presto accorti che quando al telefono dettavamo parole critiche nei confronti degli invasori la linea cadeva sempre. Succedeva che di fianco al centralino c’era un traduttore poliglotta che censurava i nostri commenti. Il collega Egisto Corradi, anche lui mio concittadino, mi disse di fare come lui, che chiamava il giornale e allo stenografo parlava in parmigiano. Io chiamai il Carlino e chiesi di passarmi Turrini che lavorava a Stadio, perché le due redazioni erano attaccate. Fu dura convincere il caporedattore, ma lo chiamò e io dettai un pezzo che ricordo iniziava così: “Incu un puten l’è ste spatassè da un carrarmé”. Ovvero: oggi un ragazzo è stato travolto da un carrarmato».
«Giornalismo e scrittura spesso si mescolano, pensate a Umberto Eco e a Gianni Brera».
Franco Montorro
23 Febbraio 2016