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Quello che i sondaggi non dicono
C’è chi li spara e chi li usa come killer. Ma alla gente andrebbe spiegato bene come si fanno e quali limiti naturali hanno i sondaggi politici
«Chiedi all’oste se il vino è buono», recitava la saggezza popoIare e siccome i sondaggi li chiedono i partiti è facile che i dati vengano sbandierati siano poi quelli migliori, del momento X o dell’istituto Y. E che la loro pubblicazione sia finalizzata a galvanizzare o rincuorare l’elettorato di riferimento e quello che potrebbe pensare di votare quella fazione ma è ancora indeciso.
E’ spesso crudele la sottolineatura all’opposto, cioè le percentuali infinitamente più basse dei piccoli partiti, soprattutto quando il messaggio subliminale indotto da certa stampa amica è del tipo: non state a perder tempo a sostenerli nelle urne – ma anche in campagna elettorale – perché è solo spreco, di tempo e di voto.
Recenti elezioni a qualsiasi livello hanno poi smentito in maniera clamorosa quelle che erano le previsioni dei sondaggi e sempre più crescente è stata la sfiducia in questo tipo di indagine.
Che ha una sofferenza di fondo: viene presentata male, quando basterebbe chiarire come stanno le cose e quali siano metodi e numeri di rilevazione per arrivare a determinare previsioni percentuali.
Cominciamo… dall’astensione, che non è quella comunque sempre più ampia nelle giornate elettorali, ma il rifiuto a rispondere al quesito sulla volontà di voto o sulla simpatia politica. Dicono che mediamente siano necessarie dieci telefonate per avere una sola risposta e i campioni sono così piccoli, poche centinaia, che quel parere che determina la previsione è espresso solo da un decimo della numericamente bassa popolazione coinvolta.
Altro fattore di distinguo: l’inchiesta è telefonica e con numeri prevalentemente pubblicati dagli elenchi, sui quali non compaiono tutti gli utenti in possesso di una linea fissa di casa. Senza tener conto se non in minima parte di quelli che non hanno più il telefono a casa perché usano solo il cellulare e sono più difficili da raggiungere.
Ancora, da sapere: la forchetta di precisione, il cosiddetto intervallo di confidenza, varia fra i cinque e i dieci punti e allora non ha senso dire che Merola avrebbe il 46%, ma è fra il 41 e il 51%, Borgonzoni fra 17 e 27%, più o meno lì anche Bugani. Ma fa più comodo sparare la percentuale secca e, siamo sicuri, che invece quella cifra secca non rappresenti già la migliore delle previsioni possibili? Il sospetto è del tutto malizioso: se ad esempio quel 46% di Merola rappresentasse il valore massimo di una forbice che parte dal 36%? Anche perché ricordiamo che nelle ultime tre tornate elettorali (2004, 2009 e 2011) l’attuale PD a Bologna al primo turno ha preso il 36.54, il 39.91 e il 38.28%. Cifre molto più vicine al minimo ipotizzato del 36%. E in un periodo di scontento e di disaffezione dell’elettorato molto inferiori ad oggi.
Franco Montorro
10 Dicembre 2015